venerdì 22 ottobre 2010

Una miniera tutta d'oro

Una miniera tutta …d’oro
La storia della cava del gesso di Borgo Rivola

Partecipo a questo convegno, un convegno che spazia a 360 gradi per quella che è un’emergenza ambientale della nostra comunità, ma è anche, ed è stata,e mi auguro lo sia anche per il futuro, una risorsa per lo sviluppo economico della nostra vallata.
Sto parlando della cava del gesso di Monte Tondo di Borgo Rivola, situata nella vena del gesso romagnola, emergenza ambientale oggi tutelata dalla legge regionale che ha istituito il parco della vena del gesso.
Oggi si parla molto del parco e del suo sviluppo per le comunità locali, viste le potenzialità che potrà avere sul turismo di tipo ambientale che sempre più sta crescendo nel nostro paese, e che i nostri comuni vogliono intercettare per far crescere e sviluppare la nostra economia. Nel far questo a volte si dimentica, o passa in secondo piano, l’attività della cava, per ciò che ha dato e per ciò che può dare ancora dal punto di vista dello sviluppo alle nostre comunità.
Gli interventi che si succedono questa sera,  affrontano tutti, argomenti a cui occorrerebbe, per essere esplicitati, dedicare almeno una serata per ognuno perciò auspico che, visto che questo è il primo convegno sui gessi - come dice il titolo, in futuro si possa entrare più nel dettaglio e nello specifico, organizzando appuntamenti mirati sulle varie materie, per approfondire nella dovuta maniera e portare a conoscenza della cittadinanza, le attività, i metodi, gli studi che si svolgono in cava per quanto riguarda la coltivazione del gesso da una parte, e il rispetto delle norme e l’approfondimento dell’ aspetto scientifico,  storico archeologico e ambientale dall’altro per salvaguardare queste ricchezze in una nuova collaborazione fra proprietà e amministrazioni locali.
Vorrei iniziare questa breve storia della cava di Monte Tondo  ricordando che questa cava è figlia del suo tempo, e si porta dietro forse una serie di errori,specie dal punto di vista ambientale, che negli anni passati non venivano certamente vissuti come oggi.
La questione ambientale negli anni cinquanta - quando la cava aprì i battenti- non era certo una predominante nei progetti di sfruttamento delle risorse e la legislazione era molto carente o addirittura mancante per questi aspetti.
Quando la cava aprì, era passato solo da pochi anni il fronte nella nostra vallata ed era rimasto fermo sul Senio per ben 4 mesi,  era la famosa ”linea gotica”, che aveva lasciato dietro di sé distruzioni e macerie, sia nelle cose che negli uomini, Riolo era stata distrutta per oltre l’80%, e così era anche per Borgo Rivola, un po’ meglio era andata per Casola dove il fronte aveva stazionato meno, ma i contesti  erano rovinosi.
In quegli anni si cominciava la ricostruzione dell’Italia, e anche qui nel nostro piccolo si cercava di sgombrare le macerie e di cominciare a ricostruire il futuro, rimboccandosi le maniche per uscire da quegli anni disastrosi.
Erano i primi sintomi di un’economia che portò al boom economico degli anni 60, non si andava tanto per la leggera, ma si cercava di creare i presupposti per migliorare le condizioni di vita della gente.
Per chi non ha vissuto negli anni 50, magari ha in mente quei film americani, dove si vedono belle case, auto ed elettrodomestici,  ma qui la realtà era ben diversa, e nemmeno i migliori film del neorealismo italiano hanno saputo esprimere la vera condizione di vita delle nostre genti.
L’economia della vallata era basata soprattutto sull’agricoltura, ma non un’agricoltura ricca come intendiamo oggi, piuttosto un’agricoltura di pura sussistenza. I contadini non erano proprietari del loro podere, ma erano mezzadri costretti a dividere il raccolto col padrone, e molti altri svolgevano l’attività stagionale come braccianti.
I lavori agricoli erano svolti senza macchinari, infatti i buoi erano il simbolo agricolo di questa parte di Romagna.
Qualcun altro faceva il muratore, poi c’erano piccoli artigiani e qualcun altro ancora si dava da fare a raccattare la legna sulle montagne di Palazzuolo per farne poi carbone e legna da vendere a Faenza, Lugo, Imola: vi erano diversi  birocciai, che altro non erano che i trasportatori dell’epoca.
Molte famiglie avevano poi dei piccoli appezzamenti di terreno ai piedi dei calanchi, i “Ronchi”, dove facevano un po’ d’orto, raccoglievano il fieno per le bestie,  o tenevano qualche animale, polli, conigli, solo qualcuno ingrassava un maiale, ma nonostante questo si faceva fatica a sbarcare il lunario.
Erano lavori duri, che non davano reddito e  certezze per il futuro e per i figli.
Le case erano prive di elettrodomestici, spesso senza acqua corrente ed energia elettrica;  e in quelle case, fatte di poche stanze vivevano molte persone.
Auto non se ne vedeva che qualcuna passare, ma pochi avevano il privilegio di possederne.
In questo periodo, diverse famiglie cominciarono ad emigrare, chi in Svizzera,chi in Germania per trovare delle prospettive future migliori.
Questa era la realtà in cui cominciò l’avventura di questa cava, certo sfruttare la risorsa gesso, per chi abitava a Borgo Rivola o nei Crivellari non era cosa nuova.
Da sempre si usava il gesso e c’erano sul luogo alcune piccole fornaci con adiacenti piccole cave per l’estrazione e la trasformazione di questo materiale che veniva commercializzato in molta parte della Romagna.
 Dopo la  verifica sulla fattibilità di aprire a Borgo Rivola una cava di gesso,che serviva allo stabilimento ANIC di Ravenna, nel giro di poco cominciarono ad arrivare una serie di maestranze da altre parti d’Italia e non essendoci a ridosso della cava alberghi o pensioni, trovarono ricovero nelle  abitazioni dei residenti a Borgo Rivola.
Poi un po’ alla volta cominciarono le assunzioni di lavoratori locali che si integrarono e poi sostituirono la maggior  parte dei dipendenti esterni.
Alcuni di questi rimasero nella nostra vallata, specie chi possedeva professionalità ed esperienze maggiori e si integrò nella nostra comunità.
Finalmente con le prime assunzioni si creò  il primo lavoro stabile nella vallata e nel giro di pochi anni si arrivò ad impiegare nella cava di Monte Tondo, solo per l’estrazione del gesso oltre 120 persone, alle quali si aggiunsero diverse decine di persone locali che, alla luce delle prospettive, cominciarono a fare i camionisti, sviluppando poi un settore, quello dei trasporti, che negli anni a venire vedrà occupati in questa attività molte persone del luogo. Ci fu chi fece dei debiti per comprare i primi camion e ci fu chi fece l’autista, ma finalmente c’era lavoro e con il lavoro qualche lira in più e finalmente si poteva cominciare a pensare al futuro sotto una luce diversa.
Certo non è che da un giorno all’altro le condizioni fossero cambiate completamente, il lavoro era faticoso, la tecnologia e le condizioni di sicurezza non erano paragonabili nemmeno minimamente  a ciò a cui siamo abituati oggi, anche se il lavoro all’interno di una cava rimane pur sempre uno dei più pericolosi che ci sia.
Si lavorava sulle 24 ore e non c’erano sabati , domeniche o feste che tenessero.
Gli orari di lavoro sia per necessità della ditta , ma anche per necessità dei lavoratori stessi erano molto lunghi.
Si lavorava all’aperto senza tener conto delle condizioni ambientali, per cui sotto il sole d’estate e sotto l’acqua e la neve d’inverno.
Ed è in queste condizioni che maturarono purtroppo diversi gravi incidenti, alcuni dei quali mortali. Ancora oggi ci sono delle persone che ne portano i segni.
Ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, la nostra gente si è legata emotivamente alla cava.
Gli infortuni e le disgrazie anche se colpivano qualcuno in particolare, colpivano soprattutto la comunità.
In queste condizioni  maturò anche una solidarietà nuova fra i lavoratori, che visti i grandi sacrifici che facevano, i pericoli che correvano, organizzarono il primo sciopero per vedere riconosciute le loro richieste. Fu uno sciopero che bloccò la produzione per diverse settimane, fino all’accordo finale che portò maggiori benefici economici ,  ma anche migliori condizioni di lavoro.
Provate a pensare ai sacrifici di quelle famiglie, che per alcune settimane non percepirono stipendi.
Lo stipendio allora , parlo specie per Borgo Rivola, ma non credo fosse diverso alle altre realtà locali, si finiva il giorno stesso in cui veniva percepito, non perché la gente fosse spendacciona, ma serviva per pagare le spese effettuate durante il mese precedente e che venivano segnate dai vari bottegai sui famosi “libretti”, che permettevano per chi aveva un lavoro di acquistare ciò che serviva, a credito.
Poi le condizioni migliorarono grazie alla tecnologia che forniva macchine migliori per l’escavazione, e con queste, con meno operai, si scavava di più e con maggior sicurezza.
Così a metà degli anni settanta si cominciò ad assumere meno e a non sostituire chi andava in pensione, si cominciò anche una campagna di incentivi per dei prepensionamenti per i dipendenti, alcuni operai in quel frangente furono utilizzati per fare i primi ripristini ambientali nella discarica dei Crivellari, mettendo a dimora molte piante.
Cominciava un periodo, sicuramente più complesso, ma questa cava aveva svolto se non altro, un ruolo trainante per l’economia della vallata,per traghettarla dal periodo di crisi del dopoguerra al primo timido benessere degli anni 70.
Ma anche qui si apre una fase nuova,in questo periodo alcune persone lungimiranti, tecnici dell’Anic come il geometra Tanganelli, o come l’allora sindaco di Casola , Sbarzaglia, capiscono che si possono creare nel nostro territorio le condizioni per sfruttare questa nostra risorsa, senza per forza trovare aziende che la trasformino fuori dai nostri confini.
Si apre così la prospettiva che crea le condizioni per l’insediamento nei primi anni 80 dello stabilimento Vic a Casola, a cui si aggiungerà nei primi anni 90 lo stabilimento di produzione di cartongesso.
Condizioni che consentono di mantenere alto il livello occupazionale nell’industria del gesso della vallata, perché se da una parte grazie a investimenti tecnologici e macchinari sempre nuovi si può scavare di più con meno mano d’opera, dall’altra ci sono industrie che consolidano l’occupazione nella vallata.
Oggi le attività legate a quest’industria del gesso occupano  un centinaio di persone in maniera diretta, e si è creato un indotto di artigianato di servizio, trasporto,ristorazione che ne occupa altrettante.
Questo ha permesso che i flussi migratori dalla collina alle zone più industriali del nostro territorio si siano fermate, e abbiano potuto consolidarsi anche attività di commercio e di piccolo artigianato che con lo spopolamento dei nostri paesi correvano il rischio di dover chiudere.
Certo che tutto ciò che è stato fatto negli anni, non sempre è stato fatto nella maniera migliore, per le situazioni e i periodi in cui si sono realizzate.
Questo ha creato e crea, specie negli ultimi anni, in cui c’è una sensibilità ambientale nuova un po’ di preoccupazione specie da un punto di vista turistico ambientale legato anche allo sviluppo che potrà avere il parco regionale della vena del gesso romagnola.
Però, le amministrazioni locali hanno negli ultimi anni, fatto delle scelte ben precise nel rispetto dell’ambiente da una parte e per garantire comunque delle prospettive di sviluppo e investimento dall'altro nel pieno rispetto della legislazione vigente.
Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, in convegni che parlavano di queste realtà ambientali,  mi sento di affermare che la cava ,  ha permesso alla nostra realtà di creare benessere.
Penso di poter affermare che per la nostra vallata questa miniera più che di gesso, è stata una miniera d’…..oro!!!

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